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Troiane
Troiane
di Euripide
Regia
Federica Restani
Adattamento
Adriano Evangelisti
Con
Ilenja Alessi
Isa Bonfà
Gabriella Ferramola
Marco Ferrari
Giovanna Granchelli
Ivonne Paltrinieri
Monia Patuzzo
Pasquale Quaratino
Mariela Rajic
Eleonora Rebecchi
Andrea Spontoni
Valentina Sbarbaro
Giovanni Villirillo
Costumi
Ivonne Paltrinieri
Body painting
Eleonora Rebecchi
Locandina
Isa Bonfà
NOTE DI REGIA
La storia ed il suo significato:
Nel 415 a. C. l’isola di Melo rifiuta di supportare gli Ateniesi contro gli Spartani nella lunga guerra del Peloponneso. Questo gesto è la risposta ad un gravissimo fatto avvenuto l’anno precedente (416 a. C.) quando i troiani, nonostante la dichiarata neutralità dell’isola, vi avevano portato morte e distruzione, radendola al suolo e deportandone le donne e i bambini.
Nel 415 a.c., lo stesso anno del drammatico avvenimento, Euripide si fa portavoce, con questa tragedia, dello sdegno civile nei confronti dei suoi concittadini ateniesi, non riferendosi direttamente all’episodio ma si rifacendosi alla mitologia, utilizzando la guerra durata 10 anni, condotta dai valorosi guerrieri Greci contro i Troiani, altrettanto valenti, descritta da Omero nei sui famosi poemi Iliade ed Odissea.
Dopo l’esplosione completa della violenza bellica (non c’è guerra nello spettacolo; questa è appena terminata), lo sguardo dello spettatore è forzato a posarsi non sui vincitori e tanto meno sui vinti; ma sulle donne dei vinti, sugli ultimi degli ultimi, persone con pochi diritti da libere cittadine, ridotte al rango di merce da assegnare come premio dopo la guerra.
“I debiti di guerra si pagano senza discutere”; così vuole la consuetudine.
E questo loro sono: bottino vivente di guerra, fisicamente inferiori per ribellarsi, destinate a pagare il prezzo più alto diventando schiave e concubine dei loro nemici, quando non ad essere da loro violentate. In questi ultimi momenti che precedono la deportazione, antesignana di tante altre che le hanno fatto seguito segnando la storia dell’uomo, c’è solo il tempo per qualche flebile speranza, per qualche ricordo e per la follia di Cassandra.
Significativo il confronto tra Elena ed Ecuba, quando quest’ultima rimprovera alla bellissima nuora di non aver saputo moderare la passione sensuale con l’avvedutezza e la ragione, mostrando bassezza di intenti e animo menzognero e portando dolore e morte a entrambe le parti avverse, a ricordare come spesso i conflitti si scatenino per pretesti ed interessi individualistici.
Non c’è apparente speranza di ricostruzione e di resurrezione in questa tragedia. Troia deve essere distrutta e bruciata e l’ultimo rampollo di stirpe regale eliminato.
Le donne troiane, le battute dalla vita e ostaggio di Greci, nella tragedia emblema di violenza e grettezza, pur avendo perduto ogni cosa: affetti, beni e patria, mostrano ancora tutta la propria dignità, ma inutilmente.
“A che serve pregare gli dei -grida alla fine Ecuba- se poi non ci ascoltano”.
E invece una specie di giustizia riparatrice c’è, ed è proprio nell’incipit.
La dea Atena, sdegnata dal comportamento dei Greci, che prima aveva sostenuto durante la guerra, invoca l’aiuto di Poseidone per sconvolgere i mari durante il loro ritorno.
Molti Greci impiegheranno anni per tornare a casa.
Alle Troiane resteranno la dignità e un lutto senza fine, tramite il quale, però, terranno viva e renderanno eterna la memoria del loro illustre passato.
NOTE DI REGIA
Un testo antico che vibra della forza di un’attualità scomoda e sconcertante.
Il centro della nostra visione del dramma è il concetto di “trauma” che ogni guerra porta con sé. Un’inevitabile maledizione che si abbatte sul singolo individuo per espandersi in un’onda inarrestabile su popoli, etnie, civiltà, mettendole a repentaglio di cancellazione. Ma anche luogo della psiche in cui può avvenire la riscrittura del lutto e la patogenesi di quella miracolosa azione collettiva che è la memoria.
La nostra analisi in fase di laboratorio è partita da cosa significa questo trauma per la persona colpita, in Euripide come nei reduci degli innumerevoli conflitti che ad oggi affliggono il nostro mondo, e tale significato è divenuto poi il centro della nostra rappresentazione.
Le donne Troiane assurgono a simbolo di una femminilità vessata dalla storia ma allo stesso tempo investita da essa della grande responsabilità di perpetrare la memoria di una civiltà facendola sopravvivere.
L’intera vicenda viene collocata in un tempo senza tempo, in un set visuale asciutto e ieratico che consente una visione ritagliata in scorci cinematografici che rivelano ora composizioni inaspettatamente classiche del coro, ora fermo-immagine di ascendenza impressionista e simbolista. I vaghi rimandi visuali al mondo classico, rintracciabili in qualche monile e nella foggia di alcuni costumi, rafforzano la loro potenza attraverso l’adozione di composizioni del classicismo figurativo rinascimentale al fine di esaltare la modernità del potente linguaggio Euripideo
La lunga guerra è terminata, Troia è caduta, siamo all’alba di una nuova stagione di deportazione della popolazione femminile e di annientamento fisico e culturale di quello che resta della grande città dei Teucri.
Madri, sorelle, mogli, regine, le donne di Troia attendono, invase da una medesima trepidazione in cui l’odio si è stemperato in una dolorante rassegnazione, di sapere quale sarà il loro destino, a quale condottiero dell’esercito greco verranno assegnate, in quale terrà lontana verranno condotte.
Al dramma della stirpe regale, vissuto dalla vecchia regina Ecuba, che ha visto morire i figli e lo sposo Priamo, si affianca quello della figlia Cassandra sacerdotessa di Apollo, impazzita all’idea di andare sposa del nemico Agamennnone, e di Andromaca, moglie di Ettore, che vedrà addirittura strapparsi dalle braccia il piccolo Astianatte per essere gettato dalle mura a sancire la radicale cancellazione di ogni residuo di stirpe troiana.
La nostra messa in scena di forte impatto emotivo è una riflessione attraverso le parole del grande tragediografo sulla violenza, l’ingiustizia, la perdita del senso delle cose, individuale e collettivo, di cui si carica ogni conflitto.
Una guerra durata dieci anni, la sequela di orrori e fatica che porta con sé si conclude con l’annientamento della storia e della civiltà dei vinti che lascia esauste le coscienze, eppure noi abbiamo voluto compiere un ulteriore passo intravedendo lo spiraglio di speranza che proprio nei vinti possa germogliare quel seme di una pace futura in cui i valori di antiche civiltà possano rinascere.
“Le donne troiane di ogni guerra lavorano lontano dalla loro patria per rimandare a memoria il loro lutto… che garantirà al popolo a cui appartengono di non essere dimenticato”.
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