Santa Giovanna dei boschi

Santa Giovanna dei boschiSanta Giovanna dei boschi
Santa Giovanna dei boschi

di Giorgio Celli


Regia
Federica Restani

Con
Barbara De Gabrielis e Federica Restani

Produzione
Ars Creazione e Spettacolo
 

NOTE DI REGIA
Testo teatrale inedito del noto entomologo Giorgio Celli che si accosta alla scrittura drammaturgica a partire dagli anni ’70 con una fitta produzione di testi, “Santa Giovanna dei Boschi” è un atto unico il cui tema centrale il rapporto uomo-natura, i diritti che essa continuamente asserisce nei confronti dell’uomo e i doveri che quest’ultimo tende ad obliterare di continuo nel corso della civilizzazione. 

Un autentico dramma breve a sfondo ecologico, che racconta la difficile scelta di integrazione di una giovane donna proveniente da una vita semi selvaggia, in totale immedesimazione con la natura, in una società ormai artificiale e meccanica, piegata alle logiche della speculazione edilizia e umana. 
Del testo, denso di rimandi celebri alla riflessione ecologica, risulta particolarmente attuale l’osservazione sul destino di un pianeta al limite della sua preservazione e sull’impegno delle generazioni che attualmente lo governano, nei confronti di quelle future. 

Ma l’intenso atto unico è anche un’ articolata parabola sul passaggio dalla giovinezza all’età adulta. La storia dell’abbandono dell’unione con se stesso del bambino e dell’ingresso nel regno della frammentazione dell’adulto, dove i riferimenti noti, quelli al vissuto più immediato e naturale, si perdono e si ingaggia un dialogo con l’altro, faticoso e denso di insidie. Altro diritto emerge a questo punto nel dispiegarsi del testo, che ha a che fare con la rivendicazione della propria identità ed autonomia del figlio nei confronti della famiglia.

Accanto a Giovanna, adolescente ancora legata ai giochi e a quell’entità magica e ancestrale che è bosco, che l’ha ospitata come un enorme grembo fino a questo momento, figure umane volutamente stilizzate, autentici ruoli, che agiscono di continuo come forze contrastanti su di lei. Una madre e un padre che proiettano le proprie aspirazioni opposte su una figlia ormai pronta a spiccare il volo verso il mondo esterno, si confrontano con un amante che la vuole iniziare alla civiltà, strapparla dal suo contesto, privarla della innocenza virginale. 
La lotta avviene sul corpo di Giovanna, campo di battaglia esposto all’innocenza e alla fragilità adolescenziale. 

L’esito lascerà, in posizioni già prevedibili dal destino, gli sconfitti a contemplare la perdita definitiva nelle fiammelle cangianti del bosco che brucia.

La messa in scena, non poteva trascurare la suggestione fortemente presente nel testo, della parola letteraria. Il gusto di Celli per il linguaggio che descrive il mondo, lo seziona e lo affida a voci pensanti dall’eccezionale acume, si traduce in scena in una cura quasi maniacale per la parola detta, pronunciata, asserita. Dai radio drammi naturalistici, lo spettacolo coglie l’idea del narrare, privo di materia fisica, ad eccezione di quella sonora, capace di descrivere universi senza ricostruirli realmente. 

L’unico mondo presente in scena è quello di Giovanna, santa e umana, che offre alla vicenda la sua presenza corporea, immolandola in una mistica estasi allo spettatore. Tutto il resto è voce. Pensieri che le affollano il cervello, si alternano a discorsi uditi, a ricordi di insegnamenti, all’immaginazione di un amore. Solo la madre, a tratti appare in scena, memento di una natura, che esonda dai limiti serrati della mente per riasserire le proprie regole che precedono la civiltà. 
Una storia di amore, di formazione, di crescita e di irrimediabile perdita, dunque, che mantiene la potenza della narrazione delle vicende dei santi medioevali e dei miti celtici a un tempo. 

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