Fi-Umana

FiumanaFiumana
Fiumana

ispirato ai luoghi e alle opere di Antonio Ligabue


Regia
Federica Restani

Un testo di scrittura collettiva con
Alan Beccari
Isa Bonfà
Andrea Codognato
Beatrice Cotifava
Laura Firriolo
Edoardo Gnoato
Claudia Moietta
Miriam Nichilo
Monia Patuzzo
Eleonora Rebecchi
Carlotta Savi
Andrea Spontoni
Giulio Zaniboni

Collaborazione alla drammaturgia
Andrea Frignani

Foto
Mattia Bianchi


NOTE DI REGIA
Un paese situato in una zona di confine, in tempo non precisato, ma in apparenza non troppo lontano nel presente o nel futuro.
Ambienti che si susseguono in una serie di quadri vividi e poetici: la piazza del paese, la canonica, l’atelier di un sarto, un casello ferroviario, l’argine del fiume, i pioppeti e quel luogo inesistente che è la nebbia.
Un eccentrico sarto venuto da via, una casellante ossessionata dal tempo, una bibliotecaria con aspirazioni da scrittrice, una giovane maestra che misteriosamente veste da uomo, una fioraia in cerca d’amore che trascina con sé la figlia sprofondata in un mondo di fantasia, un barcaiolo ombroso guardiano del confine e un postino che spesso perde l’orientamento, il dottore del paese, cacciatore notturno di animali selvatici, in cerca di un fantomatico “perdono” e una fattucchiera bellissima in grado di far affiorare la verità di ognuno, una seducente impagliatrice di uccelli evocatrice di ricorsi di un soldato americano colpito da amnesia che non riesce a ritrovare la strada di casa. Tra loro una strana ragazza convinta di essere un albero e che tanto ricorda la parte dell’escluso che predilige il bosco con i suoi animali e la sua natura selvaggia alla varia umanità del paese dello stesso Antonio Ligabue, il pitur di Gualtieri.
Cosa costituisce il centro unico e irriproducibile di una precisa comunità se non le sottili trame che legano gli abitanti tra loro, quegli stessi fili che allacciano le persone tra loro e ai luoghi dove sono vissuti, dove hanno lasciato traccia di sé?
E ancora cosa rende un individuo quello che è? Miscuglio tra ragione e follia, immaginazione e realtà.
Forse ognuno diviene, in un momento preciso dell’essere, solo ciò che gli altri vedono, come una sagoma su una tela dipinta, che possiede una vita altra da quella reale. E se l’occhio che osserva è quello del pazzo, dell’escluso, dell’artista, forse quell’esistenza si eleva per un attimo a pura poesia.
Lo spettacolo nasce all’interno del Progetto Ligabue del premio Ubu Mario Perrotta,  che si sviluppa in tre stadi e ruota intorno alla figura di Antonio Ligabue e al suo rapporto con i luoghi che segnarono la sua esistenza e la sua creazione artistica: la Svizzera, dove nacque e visse fino ai diciotto anni; il territorio di Gualtieri (RE), sulle rive del Po, e le sponde reggiane e mantovane dello stesso fiume, dove produsse gran parte dei suoi quadri e delle sue sculture.
La piazza di Gualtieri e il paese appaiono rarissime volte nei tanti quadri di Ligabue con sfondo urbano, perché lui, il Toni – come lo chiamavano gli abitanti del paese – ci metteva sempre un paesaggio svizzero nei suoi quadri, il paesaggio mitico di un’infanzia e una felicità perduta.
Eppure, c’è un luogo intorno a Gualtieri, quasi addosso a Gualtieri, che ti lascia capire perché il Toni, estradato di forza in Italia, accettò di vivere in quei luoghi e di soggiornarvi fino alla morte: il fiume Po e la sua golena in terra reggiana e mantovana. Qui Ligabue poteva “separarsi” dal mondo civile, mettersi al margine, per ricongiungersi con il suo mondo interiore e con una natura abbastanza selvaggia da diventare sfondo possibile dei suoi felini in piena caccia.
Ed eccolo allora il nostro Ligabue, non al centro del paese, ma sempre periferico, sempre lungo gli argini, su quel confine naturale che è il Po, confine sempre violato da Ligabue nelle sue peregrinazioni selvagge. Eccolo nelle campagne sterminate della bassa, dove la crudezza dell’esistere e le leggi di natura offrivano violenza sufficiente al suo immaginario pittorico.
Eccolo, risputato in piazza da una piena del fiume e risucchiato tra la vegetazione da una secca delle acque.
Il paesaggio è il paesaggio interiore del pittore. Da qui la necessità di rimettere al centro dell’attenzione la marginalità, di indagare la follia creativa che cambia le prospettive delle cose e dei luoghi, concentrandosi ancora una volta sulla parola “confine” e sulle sue implicazioni. Usare il fiume Po come confine e Ligabue per scardinarlo quel confine.
Indagare Ligabue significa indagare il rapporto di una comunità con lo “scemo del paese”, da tutti temuto e tenuto a margine, ma significa anche accettare lo spostamento che provoca una nuova visione delle cose, una visione “folle”, che mette a rischio gli equilibri di chi osserva, costringendolo a porsi la classica domanda: chi è il pazzo?
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